A seguito delle azioni di tutela e valorizzazione stimolate dalle celebrazioni del centenario della Grande Guerra, si è rivelata l’urgenza di riflettere criticamente anche sui beni storici, artistici e culturali risalenti al Secondo conflitto mondiale, sulla loro identificazione e sulla analitica conoscenza di entità e tipologie codificabili, sul loro riconoscimento prima critico e poi istituzionale, quindi sulla loro eventuale patrimonializzazione.
Nonostante da qualche anno si provi a introdurre ufficialmente anche tale patrimonio fra i beni da porre sotto la tutela dello Stato, alla stregua di quelli della Prima guerra (comma 1 art. 11 Codice Beni Culturali), non si è ancora arrivati a questa auspicabile soluzione, se non per qualche sporadica iniziativa regionale. Un’impasse certamente correlata alla memoria inerente quei fatti, ancora divisa, che ha favorito un “uso pubblico” conflittuale della storia, dei reperti e delle simbologie; un tema centrale per la disciplina della Public History e che tocca anche i termini del cosiddetto “dissonant heritage” e del “Conflict Heritage”.
Anche per questo, per la particolare situazione vissuta dalla nostra Nazione nel corso dell’ultima guerra, compreso il periodo della cosiddetta “guerra civile” determinata dalla creazione della Repubblica Sociale nel territorio occupato dalla Germania nazista, gli unici luoghi museali che serbino memoria di quei fatti, sono i musei dedicati alla Resistenza e agli uomini che segnarono la storia della Liberazione. La guerra percorse invece tutto il territorio italiano, dalla Sicilia fino alle regioni del Nord; con un particolare accanimento la lotta si sviluppò nelle regioni del centro-nord, fra cui l’Emilia-Romagna.
Le testimonianze vive della guerra sono perciò presenti diffusamente sul territorio, in positivo, per gli oggetti bellici restati sul terreno, per le tracce profonde delle fortificazioni, dei bunker e dei rifugi, delle strutture belliche, dei campi di battaglia; sono presenti nel paesaggio, nei centri urbani, anche sulle spiagge e sui monti. Ma sono presenti anche in negativo, per le distruzioni che hanno cancellato o profondamente modificato molte parti dei centri urbani e hanno colpito, segnato in modo definitivo, tanti beni artistici e monumentali.
In questo senso appare chiaro come il tema dei rapporti fra guerra e patrimonio culturale sia un tema complesso che ha visto nel resto d’Europa esperienze e centri museali dedicati, modelli a cui dovremmo cercare di riferirci per accostarci a questa sfida evitando le secche di ricostruzioni identitarie e di parte, per individuare fra i resti ancora esistenti quei beni culturali, storici ed artistici da rendere fruibili, musealizzandoli, e quindi conservarli ai posteri.
Come sostenere anche in Italia, in modo sistematico e non occasionale, quel processo di individuazione e quindi musealizzazione degli itinerari e dei luoghi della Seconda Guerra Mondiale, secondo modalità già in essere e consolidate in Europa e già sperimentate, soprattutto nel Nord della penisola, per la Grande Guerra?
Questioni aperte, centrali per la riuscita del convegno, ideato e realizzato dall’Università degli Studi di Bologna, l’Università degli Studi di Macerata e il Comune di Cervia. Un momento di riflessione fra esperti, storici, museologi, storici del patrimonio culturale, storici del paesaggio, giuristi, che affronteranno il tema della musealizzazione, tutela e memoria di questo immenso patrimonio culturalestorico-artistico, ritenendo fondamentale aprire un dibattito concreto sul rapporto fra enti museali e luoghi della cosiddetta “archeologia bellica”, fra siti urbani e del “paesaggio bellico”, con una specifica attenzione al contesto Emiliano romagnolo.